L’inclusività è una spinta verso il cambiamento del sistema socioculturale a favore della partecipazione attiva e completa di tutti gli individui. In tale accezione del termine si dovrebbe inscrivere il ruolo del marketing, assumendo la responsabilità di includere qualsiasi individuo nella comunicazione al resto del mondo. Ad oggi non è più solo sufficiente il “purpose”, l’intento sociale benevolo di un brand: i clienti richiedono coerenza e azione!
Questo dunque significa marketing inclusivo: accogliere e rendere partecipe chiunque, indipendentemente dalle condizioni (culturali, sociali, etniche, religiose, di genere, disabilità o apprendimento) che lo caratterizzano.
Partendo dall’analisi di una strategia mirata e passando attraverso esempi di brand efficaci, arriveremo a capire i vantaggi che un approccio inclusivo rappresenta per aziende e clienti e le forme di linguaggio corretto da utilizzare. E perché no, butteremo un occhio anche alla SEO che tanto ci piace!
Marketing inclusivo: definizione, importanza e vantaggi per azienda e cliente
In un mondo sempre più eterogeneo e in rapido mutamento, dove ogni giorno siamo purtroppo ancora testimoni di cronache in merito a disuguaglianze di ogni genere, l’inclusività è diventata un must d’urgenza nel marketing digitale.
Definire il marketing inclusivo non è difficile: si tratta di considerare tutti alla pari, creando contenuti che si rivolgano al maggior numero di persone possibile, indipendentemente dalle loro forme di diversità. Realizzare campagne, dunque, in grado di considerare persone con background diversi e che raccontino storie in cui tutti possano realmente riconoscersi. Più complesso (ma non impossibile) è mettere in atto questo progetto, in maniera costante, consapevole, efficace e al tempo stesso naturale.
Philip Kotler, capostipite del marketing moderno, nel libro “Brand Activism. Dal purpose all’azione” ci spiega come un brand realmente attivo debba spingersi oltre la sua mera responsabilità sociale e cambiare il proprio assetto dall’interno, per abbracciare l’inclusione delle diversità a 360°. Adottare, pertanto, un approccio strategico che cambi il ruolo dei CEO, le regole della leadership e la comunicazione interna, interessando in primo luogo chi nelle aziende ci lavora, gli impiegati, per poi estendersi al mondo esterno, i clienti e gli stakeholder.
Se si pensa che addirittura il 70% dei consumatori facenti parte della Generazione Z (11-25 anni, il presente e il futuro!) si fida maggiormente di brand che rappresentano vari tipi di diversità nei loro annunci, si comprende l’importanza di abbracciare l’inclusione come politica aziendale e come valore principe negli approcci e nelle dinamiche: impatto sulla reputazione e redditività ne gioveranno e l’impresa sarà meglio percepita e tenuta in maggior conto, come mostrano i numeri di Nielsen del 2021.
I vantaggi dal lato azienda sono innegabili:
– raggiungimento di un pubblico più vasto con conseguente aumento del profitto potenziale;
– qualità del servizio offerto, per un cliente tutelato, soddisfatto e dunque fidelizzato;
– miglioramento dell’immagine del marchio.
L’obiettivo dell’attività di marketing non dovrebbe ridursi esclusivamente alle vendite, ma ambire a creare valore per i consumatori, aumentandone la qualità della vita e contribuendo al loro benessere. In questo risiedono i vantaggi dal lato cliente, che vede difeso il suo diritto alle pari opportunità e quindi aumentata la propria autostima, oltre che vivere un’esperienza migliore di customer care.
Queste le statistiche di Google sui risultati che l’interesse rivolto ai diversi tipi di diversità produce:
A questo punto non rimane che scoprire come creare una strategia di inclusive marketing davvero efficace!
Strategia inclusiva: tutto quello che c’è da sapere
Una considerazione importante da fare prima di intraprendere un piano strategico inclusivo, è chiedersi se la struttura interna del tuo business riflette ciò che vuoi che il tuo brand comunichi all’esterno. In altri termini la domanda da porsi è la seguente: sto ponendo attenzione alla diversità, equità e inclusione (DEI) anche all’interno delle mura della mia azienda?
Ne vale la credibilità del marchio agli occhi di un cliente sempre più attento e sensibile alle dinamiche sociali.
Pertanto, si parta dai propri team interni ed esterni (compresi i fornitori) per promuovere l’inclusività, annullando le distanze culturali e demografiche tra produttore e consumatore. A quel punto sarà anche più semplice comunicare col proprio pubblico in maniera empatica e autentica senza correre il rischio di risultare falsi o ipocriti.
Passando alla parte strettamente operativa, possiamo individuare otto step a nostro avviso fondamentali per rendere la tua azienda inclusiva grazie a una strategia efficace:
1. CONOSCERE IL MERCATO DI RIFERIMENTO
Prima della stesura dei contenuti, sarà meglio capire il pubblico a cui essi si rivolgono. Vanno ricercate (tra i dati in possesso dell’azienda o tramite sondaggi, eventi, contatti sui social), quelle caratteristiche demografiche che possano fornire indizi in merito a sesso, etnia, età, livello d’istruzione, disabilità, interessi del vostro target; in questo modo sarà possibile considerare tutti gli aspetti senza escludere nessuno.
2. EVITARE GLI STEREOTIPI
Il rischio di pregiudizi e appropriazioni innegabilmente c’è ma può essere superato. Puoi ricorrere a esempi di vita reali o a storie generiche che riguardino difficoltà col tuo prodotto che chiunque potrebbe incontrare, a prescindere dal proprio background.
3. DIVERSIFICARE LE IMMAGINI
L’impatto visivo nel digitale fa da padrone. Modelli bianchi normodotati spopolano nelle immagini di repertorio delle campagne pubblicitarie, ma la realtà è ben diversa: è più variegata, complessa, colorata! Questa eterogeneità merita di essere rappresentata nella sua interezza.
4. PUNTARE AI SENTIMENTI D’INCLUSIONE
La pubblicità può emozionare. Quando tocca determinate corde genera sentimenti di gioia e fiducia che animano il senso d’inclusione. Dunque, bisogna puntare al raggiungimento di almeno uno di questi stati d’animo: relax, speranza, entusiasmo, celebrazione, sollievo, accettazione, sicurezza, giustizia, chiarezza.
5. AMPLIARE LE FESTIVITÀ
I social media si riempiono di post a tema nei periodi di festività che tuttavia interessano maggiormente le ricorrenze americane ed europee. Un buon segno d’inclusività e rispetto degli altri potrebbe essere quello di celebrare sui social i periodi di festa di Paesi diversi (il Capodanno cinese per esempio), o dedicati alle persone emarginate, alla comunità LGBTQ e ad altri gruppi diversi.
6. CREARE UN LINGUAGGIO IDONEO PER TUTTI
I testi andranno sicuramente privati di qualsiasi implicazione razzista e sessista, ma anche depurati da eventuali espressioni gergali o termini troppo specifici della lingua italiana incomprensibili ai più, per evitare l’esclusione o la mancata comprensione di qualcuno. Una buona norma potrebbe essere quella di condividere il testo, prima della pubblicazione, con un team eterogeneo.
7. GARANTIRE L’ACCESSIBILITÀ DIGITALE
È di cruciale importanza assicurarsi che chiunque possa utilizzare un prodotto digitale come un sito web, indipendentemente dalle proprie capacità individuali riguardanti la vista, l’udito, le abilità cognitive, il livello di lettura e la coordinazione motoria. Didascalie nei video, test alt sulle immagini, colori vivaci e forte contratto sono esempi di come sia possibile farlo.
8. MISURARE I RISULTATI
Come essere certi di aver raggiunto obiettivi in linea con i principi della DEI? Solo il tuo pubblico potrà darti un feedback veritiero a riguardo. Dunque, non temere di chiedere, magari con sondaggi, ai diretti interessati.
Brand inclusivi: esempi, risultati e riconoscimenti
L’unità di misura dell’efficacia inclusiva di un marchio è il Diversity Brand Summit, che attraverso un meticoloso lavoro di mappatura continua di tutte le iniziative/attività realizzate dai brand, riesce a stabilire e premiare le aziende migliori in termini di impegno sulla Diversity & Inclusion (D&I). Ne è risultato il Diversity Brand Index (DBI), che ha anche lo scopo di fornire informazioni sullo stato attuale delle cose, di aiutare le imprese a capire come migliorare la propria cultura aziendale e di facilitare l’implementazione di strategie efficaci.
Tra i marchi coinvolti nel Diversity Brand Index 2022, per molte valide ragioni l’ha spuntata Netflix, Top Brand 2022, risultando il brand che ha dimostrato maggiore attenzione a tutti i tipi di diversità.
Ma sono molti i marchi che si sono spinti oltre nei loro messaggi e si sono aperti a un mondo eterogeneo, diversificando, a loro volta, le opportunità di diffusione del loro business offrendo efficaci esempi di inclusive marketing.
Per rimanere in patria, ci piace pensare al mondo Barbie, che ha fatto della nostra campionessa paralimpica Bebe Vio un esempio di tenacia per i più piccoli, producendo una bambola con le sue sembianze dotata di protesi e sedia a rotelle.
Le aziende italiane hanno livelli di maturità sulla D&I molto diversi. Una lancia a favore nel nostro paese la spezza lo stesso Kotler, affermando che le piccole e medie imprese (PMI), per la struttura insita nelle dimensioni del business, hanno rapporti più stretti con clienti e fornitori e non hanno bisogno di rendere il brand più umano perché è nella loro natura avere un rapporto diretto con le persone. Partiamo avvantaggiati, dunque, e con la popolazione italiana sempre più sensibile al tema inclusione. Infatti, più di 1 connazionale su 2, si è dichiarato ben disposto ad acquistare un prodotto sponsorizzato attraverso uno spot inclusivo.
La strada è ancora lunga da percorrere ma sembra collocata sui giusti binari.
SEO e inclusività
L’ottimizzazione per i motori di ricerca (SEO, Search Engine Optimization) ha lo scopo di aumentare il traffico sul tuo sito facilitandone la comprensibilità per Google ma anche per i tuoi utenti. Quindi il principio alla base dell’inclusività e della SEO è lo stesso: la semplicità paga!
Il sito Plainlanguage.gov definisce il linguaggio semplice come “una comunicazione che il pubblico può capire la prima volta che la legge o la ascolta”. Una maggior chiarezza dei tuoi testi sarà utile a tutti, anche alle persone con disabilità cognitive, scarsa capacità di lettura o quelle che si trovano di fronte ad argomenti o linguaggi sconosciuti.
Ci sono alcune accortezze nella stesura di un contenuto che possono tornare utili a entrambi gli scopi:
– non rendere i titoli e i sottotitoli in grassetto bensì avvalersi di titoli veri e propri (H1, H2, H3, ecc.) adatti agli screen-reader e ai motori di ricerca;
– scrivere abbreviazioni e acronimi tra parentesi dopo averne fornito la precedente descrizione completa;
– far precedere un link non dal classico “Clicca qui” ma da una breve spiegazione del contenuto;
– aggiungere didascalie ai contenuti video.
Se poi volete essere sicuri di aver fatto un buon lavoro, potete usare estensioni gratuite per i browser come Siteimprove o WAVE di Webaim.org, in grado di fornirvi feedback istantanei, suggerimenti e segnalazione di eventuali errori.
Conclusioni
Nel mondo della comunicazione ma in generale nella vita, schierarsi significa spesso anche inimicarsi chi non condivide lo stesso parere, o comunque esporsi a critiche se qualche azione non è perfettamente coerente con quanto dichiarato.
Ma quello che Studio Makoto sostiene è che l’impegno delle aziende debba essere rivolto a far sentire le persone comprese attraverso un buon livello di inclusione. Non si tratta più solo di assumere una posizione, ma di prendere parte al processo di cambiamento.
L’accessibilità di annunci, piattaforme e contenuti può rivelarsi utile per tutti ed è una scelta intelligente che le più grandi aziende hanno già fatto.
La strada è ancora lunga ma il futuro parla innegabilmente d’inclusività: non si può più ignorare il bisogno di un pubblico sempre più sensibile ai temi della diversity & inclusion e la preziosa occasione che ogni brand ha di poter contribuire a diffondere una maggior equità.
Domande frequenti
Originally posted 2022-07-23 03:30:34.